Attore, comico, regista, sceneggiatore, compositore, produttore. Uno dei più grandi attori del XX secolo, l’unico capace di superare in maniera brillante il passaggio dal muto al sonoro.
Prendete la vostra bombetta, il bastone e seguitemi dentro e fuori la vita di Sir Charles Spencer Chaplin, in arte Charlie Chaplin.
LA NASCITA (TRA MITO E LEGGENDA), SIDENEY, EAST STREET, LAMBETH
Charles Chaplin nasce il 16 aprile 1889, o almeno così viene dichiarato, in quel di East Street, Walworth, Londra. Nei registri del Comune della Capitale non vi è traccia della sua nascita, anzi: il primo riferimento è datato 1891, due anni dopo la sua nascita. Una lettera datata 1970 e spedita a Chaplin ipotizza la sua nascita in un carro di zingari, accampatisi nei pressi di Birmingham.
Di Chaplin conosciamo con sicurezza coloro che lo concepirono. Il padre Charles Chaplin Senior era un attore di varietà, talentuoso, con un discreto successo e con il gomito troppo alto. La madre, Hanna Harriette Hill lavorava, con meno successo del consorte, nel mondo della recitazione: era conosciuta con il nome d’arte di Lily Harley. Charlie è il secondo figlio della coppia: Sydney, il primogenito, è più grande di quattro anni.
Che il rapporto tra Chaplin Senior e la Harley non fosse dei più stabili ed equilibrati lo si capisce quando, partito il marito in tournee negli USA, Lily intrecciò una relazione con Leo Dryden, cantante in voga, dal quale ebbe Wheeler, fratellastro di Charlie e Sydney (i due scopriranno solo anni dopo dell’esistenza di Dryden. NdA). Com’è scontato, il matrimonio terminò e Chaplin Senior, trovata una nuova compagna, cercò di ottenere l’affidamento dei ragazzi. Il tentativo non andò a buon fine, così Charlie e Sydney andarono a vivere con la madre.
I soldi non bastavano e i due ragazzi furono costretti a trascorrere due anni presso diversi collegi e istituti per orfani a Lambeth. Ma i giovani Chaplin avevano tante frecce nella loro faretra ancora da scoccare. Tutti e due baciati da Thalia, la Musa della Commedia, esordirono ben presto sul palco. Charlie esordì a sette anni, in compagnia della madre.
1896: durante un’esibizione, Lily subisce un brusco abbassamento della voce ed è costretta ad abbandonare il palco della rivista tra i fischi. Sul palco sale Charlie, canta “E Dunno Where 'E Are”, hit del periodo.
Nel 1898, Lily ed i fratelli Chaplin si trasferirono a Manchester. Charlie frequentò la scuola per tre anni, prima di entrare a far parte di una compagnia teatrale, gli “Eight Lancashire Lads”, formata da enfants prodige, guidati da William Jackson.
Due anni dopo, nel 1900, Charlie ha 11 anni. Grazie a Sydney ottiene un ruolo comico, quello del gatto, in una pantomima intitolata “Cinderella” (Cenerentola), in cui recitava Marceline, celeberrimo clown del periodo. Poco dopo, Sydney trovò un ingaggio come trombettista su una nave: a badare alla sempre più instabile madre restò solo Charlie.
L’anno successivo, Charlie rimase orfano di padre. Quest’avvenimento turbò totalmente Hannah, la mamma di Charlie, che cadde in una depressione nera, causata anche dalla condizione di malnutrizione perenne. Nel 1903, Chaplin ottiene una piccola parte (l’opera è “Jim, the Romance of a Cockney”) e la prima recensione sul giornale. Questo gli permise di conquistare gli autori di “Sherlock Holmes”, spettacolo ispirato al personaggio creato da Arthur Conan Doyle. Lo strillone Billy (questo era il ruolo di Chaplin) gli fruttò molte lodi ed un inizio di fama. Nel frattempo anche Sydney era tornato nel Regno Unito e recitava in un teatro londinese.
Riuscendo a mettere da qualche un po’ di sterline, i fratelli Chaplin riuscirono a far dimettere Hannah (La madre era stata ricoverata dopo il grave episodio depressivo citato poc’anzi. NdA). Tuttavia, la gioia fu temporanea: la madre peggiorò nuovamente e fu necessario un secondo ricovero. Soltanto all’inizio degli anni ’20, Sydney e Charlie riuscirono a comperare una villa in California per Hannah (i due vi risiedevano da anni, come leggeremo tra poco), dove la donna trascorrerà gli ultimi sette anni di vita, curata e serena.
Tornando a Charlie, fra il 1906 ed il 1907, entrò a lavorare ne “Il Circo di Casey”. L’esperienza gli permise, anche grazie al fratellone Sydney, di entrare nella compagnia di Fred Karno. Il suo esordio nella compagnia fu ne “L’incontro di Calcio”, dove interpreta un delinquente che tenta di drogare il portiere della scuola di calcio.
Ben presto, il giovane Charlie diviene una delle stelle più brillanti della Compagnia, al pari del quasi coetaneo Arthur Stanley Jefferson, che ha adottato il nom de plume di Stan Laurel (Che Compagnia con pochi talenti!).
Oltre alla recitazione, Chaplin è un ottimo podista, tant’è che “rischia” di iscriversi alle Olimpiadi di Londra del 1908. Purtroppo dovrà dare forfait per via di una malattia. Nel 1909, Charlie viaggia, assieme alla Compagnia Karno, fuori dai confini: Parigi e, dopo due anni, USA. La prima esperienza americana non fu un successone; tuttavia, l’anno successivo, nuova tournee a stelle e strisce e successo per i Karno.
Charlie fu notato da Mack Sennett, di professione produttore per la casa cinematografica Keystone che lo scritturò. Correva l’anno 1913, novembre per la precisione. Chaplin è un attore del grande schermo, ora.
L’ESORDIO SUL GRANDE SCHERMO: KEYSTONE, ESSANAY, MUTUAL E LA GENESI DELLA UNITED ARTISTS
L’anno è il 1914. In Europa scoppia la Prima Guerra Mondiale. Negli Stati Uniti, ad Hollywood, il giovane inglese Charlie Chaplin gira la prima pellicola per la Keystone, dal titolo “Charlot giornalista”. Sarà il preludio alle due pellicole successive, dove nascerà il personaggio più famoso: Charlot (conosciuto anche come “Il Vagabondo”). Una bombetta, baffetti corti, un bastone da passeggio di canna, pantaloni sformati, una giacchetta nera striminzita e degli scarponi oversize. Ecco, nato dall’estro di Charlie e dal guardaroba della Keystone, il mito. Il personaggio verrà definito perfettamente l’anno successivo, grazie al film “Il Vagabondo”.
Soltanto in quell’anno, Chaplin girerà 35 cortometraggi (trentacinque, esatto) con la Keystone prima di passare, nel novembre 1915, alla Essanay, cambiando pure città: da Hollywood alla “Windy” Chicago. Ovviamente, la casa di produzione si aggiudica il nostro per uno stipendio congruo, pari a 1.250 $ a settimana. Con la Essanay, Chaplin girerà altre 14 cortometraggi.
Nel 1916, Chaplin cambia ulteriormente: passa alla Mutual, girando altri 14 cortometraggi. Chaplin guadagnava circa 600.000 $ l’anno, una cifra mai vista. Decise di passare anche dietro la macchina da presa, scritturando l’attrice 19enne Edna Purviance, trasformandola per ben 35 pellicole nella sua primadonna (nel periodo compreso tra il 1916 ed il 1923. NdA). I due vissero anche una turbolenta storia d’amore che terminò nel 1918, lasciando una profonda amicizia tra i due.
Passato dietro la macchina da presa (oltre che davanti), Chaplin girò circa 100 pellicole in cinque anni. Charlie non scriveva un soggetto o un copione: era tutto dentro la sua fantastica mente, battuta per battuta, gag per gag. Spiegava passo passo le scene agli attori che avrebbero dovuto interpretarle.
Nel 1918, Charlie si mise definitivamente in proprio, firmando un contratto da 1.000.000 $ (un milione tondo tondo, cifra impensabile all’epoca. NdA) con la First National. Buona parte del merito di questo ingaggio luculliano è da attribuirsi a Sydney Chaplin, ormai divenuto procuratore ed agente del fratello Star.
Con la First National Chaplin girò dieci pellicole ma qualcosa di grande bolliva in pentola. Una ricetta che prevedeva non solo Chaplin come Chef.
L’anno è il 1919 e nasce la United Artists Corporation dagli sforzi congiunti di Charlie, Mary Pickford (attrice canadese, cofondatrice dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, conosciuta anche con il soprannome di “Fidanzatina d’America”), Douglas Fairbank (Attore e marito della Pickford) e David Wark Griffith (il Regista di “Nascita di una Nazione”). Da questo momento in poi Chaplin curerà personalmente ogni fase della produzione, circondato da un élite di fedelissimi. Uno su tutti: Alfred Reeves, conosciuto ai tempi della Compagnia Karno, pure lui suddito di Sua Maestà Giorgio V del Regno Unito, che divenne Direttore di Produzione.
Felicità in campo professionale, delusioni in quello affettivo: Chaplin si sposa nel 1918 con Mildred Harris, che dichiarava di essere incinta dell’attore (La gravidanza si rivelò un bluff). I due ebbero un figlio, Norman Spencer, che morì dopo tre giorni a causa delle gravi malformazioni. La coppia si separò nel 1920.
THE GOLDEN AGE: IL MONELLO, LUCI DELLA CITTÀ, TEMPI MODERNI E L’AVVENTO DEL SONORO
Nel 1921, Chaplin si trovò alle prese con una pellicola che lo avrebbe lanciato –ancor più- tra le stelle più brillanti del firmamento Hollywoodiano. È l’anno de “Il Monello”, in cui Chaplin recitò con il piccolo (ma grandissimo, vista la carriera) Jackie Coogan (Divenuto adulto, Coogan interpreterà lo Zio Fester nella serie televisiva “La Famiglia Addams”. NdA). Nonostante intoppi e problematiche sia in gira di produzione che di post produzione, la pellicola fece il botto al botteghino.
Nello stesso anno, Chaplin tornò nella madrepatria. Da 11 anni non calpestava il suolo britannico. Visitò i quartieri della sua infanzia: Lambeth, Kennington ed Elephant and Castle.
Nel 1923, Chaplin torna dietro la macchina da presa per dirigere “La Donna di Parigi”. Apprezzato dalla critica, il film non ebbe il successo ipotizzato al botteghino. Forse perché Chaplin/Il Vagabondo non appare, se non in un brevissimo cameo nei panni del facchino.
L’anno successivo, Charlie convola nuovamente a nozze, stavolta con l’attrice Lita Grey (protagonista femminile de “La Febbre dell’Oro” e incinta del primogenito dell’attore. NdA). Il matrimonio, nonostante la nascita di Charles Jr. (1925) e di Sydney (1926), finirà in bufera, con tanto di istanza dal giudice e sequestro dei beni di Chaplin (l’attore dovette nascondersi e nascondere i negativi del film “Il Circo”, che vedrà la luce a divorzio avvenuto, nel 1928. NdA).
Prima della tumultuosa fine del loro rapporto, Charlie e Lita gireranno il film ritenuto tra i più belli di Chaplin: “La Febbre dell’Oro”. Nel 1928, quando la vita privata di Charlie sta andando a rotoli, esce “Il Circo”. Come scritto prima, la lavorazione e la postproduzione fu travagliata ma la pellicola riuscì a vedere la luce. Grandi cambiamenti, tuttavia, erano in atto nell’Universo del Cinema: nel 1927 si era affermato il sonoro. Per i film muti era la fine. Così pensavano tutti, così suggeriva Sydney Chaplin al fratello.
Ma Chaplin –le numerose biografie lo confermano- era un bel testardo, poco incline a seguire le “mode”. Il 1929, anno del crollo di Wall Street, vede Chaplin alle prese con la stesura di una nuova pellicola (la prima con il sonoro: specifichiamo, musiche originali sincronizzate con la pellicola e totale mancanza di dialoghi) e con il Premio con la “P” Maiuscola.
A Chaplin venne conferito l’Oscar alla carriera (prima star ad aggiudicarselo e più giovane regista in assoluto). Con nuova grinta e spirito, Charlie si buttò sul progetto che vide la luce nel 1931: “Luci della Città”.
Altro capolavoro, altro film travagliato: sembra quasi una costante dei film Chapliniani. Charlie scelte la protagonista, Virginia Cherrill, dopo averla incontrata ad un incontro di boxe. La graziosa ragazza era tutto tranne che un’attrice con esperienza e più volte rischiò di essere licenziata.
Altra peculiarità del film (che ci permette di comprendere meglio la puntigliosità di Chaplin): avete presente la scena in cui il Vagabondo viene scambiato dalla fioraia cieca (la Cherrill) per un milionario? Ricordate con quale artificio Chaplin riesce a rendere il concetto Senza l’ausilio di mezza parola? (Risposta: la fioraia, sentendo sbattere la portiera di una grande macchina mentre lui le passa davanti sul marciapiede, lo crede milionario e gli chiede di comprare un fiore) Bene: quella scena è entrata nel Guinness come quella con più ciak della storia, ben 342. (Sì, 342 volte la stessa scena; ogni volta, Chaplin tentava qualcosa di nuovo).
Alla prima del film, Chaplin si presentò assieme ad Albert Einstein (Premio Nobel 1921, non c’è bisogno che vi scriva chi è Einstein, non credete?). Memorabile l’uscita di Chaplin, dopo che il pubblico li vide e li riservò una standing ovation:
"Vede, applaudono me perché mi capiscono tutti; applaudono lei perché non la capisce nessuno"
Sempre nello stesso anno, Chaplin venne insignito della “Legione d’onore Francese”, l’onorificenza più alta in terra di Francia. Chaplin, idee e intuizioni, si mise subito all’opera. Aveva in mente un altro film, legato alla frenesia della vita moderna, anzi dei “Tempi Moderni”.
Anno nuovo, nuovo amore: Charlie incontra un’attrice “minore” (nel senso di esperienza e parti interpretate), Paulette Goddard e – ciclicità della vita - se ne innamora perdutamente, tanto da darle una parte nel film che sta realizzando: “Modern Times” o “Tempi Moderni”, per dirla con la lingua di Dante e Manzoni.
I due resteranno “sposati” per sei anni, dal 1936 al 1942. Le virgolette sono volute, perché il mistero aleggia sul presunto matrimonio. Chaplin, poco incline a parlare dell’unione (al pari della Goddard), disse che si erano sposati in Cina (e divorziati in Messico, pensa te).
La Goddard, non riuscendo a dimostrare la veridicità dell’unione con Chaplin, perderà per un soffio la parte di Rossella O’Hara in “Via Col Vento” (Era in ballottaggio con Vivien Leigh, che si aggiudicherà parte e Oscar (1940, Miglior Attrice). Ad onor del vero, anche la Leigh non era sposata ma conviveva con Laurence Olivier (uno dei più grandi Amleto della storia del cinema); tuttavia, alla fine venne scelta la Leigh e la Goddard dovette accontentarsi di una carriera minore.
“Tempi Moderni” fu l’ultimo film in cui compare Charlot/Il Vagabondo. Il sonoro avanzava sempre più, ormai aveva soppiantato il cinema muto e Sydney Chaplin spingeva il fratello verso i nuovi orizzonti. A lì, la decisione di mandare in pensione il personaggio. Spiegherà lo steso Chaplin:
«Non potrebbe parlare, non saprei che voce usare. Come riuscirebbe a mettere insieme una frase? Per questo motivo Charlot ha dovuto darsela a gambe”
Tuttavia, l’ultima apparizione del Vagabondo avverrà quattro anni dopo, nel capolavoro che vide Chaplin contro tutti.
HITLER, CHAPLIN, HYNKLER, IL BARBIERE EBREO: IL GRANDE DITTATORE E LA CRITICA AL NAZISMO
Fine anni ’30, Stati Uniti. Mentre in Europa la Germania di Hitler e del Terzo Reich dilaga, negli USA non pochi simpatizzano per le camicie brune ed il loro carismatico leader. Leader che – casualità vuole – è nato Il 20 aprile 1889 (4 giorni dopo Charlie) e porta un paio di baffetti incredibilmente simili a quelli posticci che Chaplin indossa sul set.
Le similitudini finiscono qua ma sono così forti che Charlie ha un’idea. Un film che sbeffeggi la figura del Dittatore e dei suoi ideali, proprio mentre in Europa il Dittatore (quello vero) ha aperto le macabre danze della Seconda Guerra Mondiale.
Chaplin concepisce la storia, giocando sull’equivoco. I due personaggi che interpreterà, Adenoid Hynkel (si capisce che si parla di Adolf Hitler) e il barbiere ebreo sono due gocce d’acqua. Il barbiere verrà scambiato per Hynkler e ne prenderà il posto, soprattutto in vista del monologo finale.
Per la prima volta, Chaplin parla in un film e lo fa con un monologo struggente, inneggiante la pace e l’unità. Dall’altra parte dell’Atlantico, la pace e l’unità sono scomparse sotto l’avanzata nazista.
“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro.
In questo mondo c’è posto per tutti: la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette.
Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità, più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza, e tutto è perduto.
L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente.
A coloro che mi odono io dico: non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggiero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano.
L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.
Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare! Che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore! Voi non siete macchine, non siete bestie, siete uomini! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore! Voi non odiate, coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui!
Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate nel vangelo di San Luca è scritto: “il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo”, non di un solo uomo, o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini! Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e libera, di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi, in nome della democrazia, usiamo questa forza. Uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza.
Promettendovi queste cose, dei bruti sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. I dittatori forse sono liberi, perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse. Combattiamo per liberare il mondo eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza! Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere.
Soldati! In nome della democrazia, siate tutti uniti!
Hannah, puoi sentirmi? Dovunque tu sia abbi fiducia.
Guarda in alto, Hannah! Le nuvole si diradano, comincia a splendere il sole. Prima o poi usciremo dall’oscurità verso la luce e vivremo in un mondo nuovo, un mondo più buono, in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio della loro brutalità.
Guarda in alto, Hannah! L’animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare, a volare sull’arcobaleno verso la luce della speranza, verso il futuro, il glorioso futuro che appartiene a te, a me, a tutti noi.
Guarda in alto, Hannah.
Lassù!”
Il film, nonostante le nomination, non si aggiudicò neanche un Oscar. Chaplin, terminata la guerra e scoperto l’orrore dei campi di concentramento, dichiarò che non avrebbe mai realizzato il film se solo avesse potuto immaginare tante atrocità. La prima della pellicola fu fatta a New York, meno “vicina” alle destre, a differenza di altre zone degli USA.
Durante la realizzazione de “Il Grande Dittatore”, due tegole caddero sulla vita di Chaplin: il già citato matrimonio con la Goddard stava dissolvendosi e –nel dicembre del ’39- morì improvvisamente Douglas Fairbank, socio fondatore della UAC (United Artists Corporation) e “solo, vero amico che abbia mai avuto”, come dichiarò Chaplin all’indomani della scomparsa.
Passerano sette anni prima che Charlie si metta all’opera su un alto film ma non saranno anni tranquilli, anzi. Tra il 1942 ed il 1943 intrecciò una relazione con Joan Barry (attrice con parti infinitesimali). Contemporaneamente, incontrò Oona O’Neill, figlia del celeberrimo Eugene O’Neill (Drammaturgo, Premio Nobel 1936 per la Letteratura. NdA). Oona aveva diciassette anni, Charlie cinquantatré. La relazione che nacque creò scandalo in tutti gli ambienti ma Charlie –testardo com’era- se ne infischiò allegramente. Nel 1943 sposò la O’Neill. Ad ottobre dello stesso anno, Joan Berry – ve la ricordate? - ebbe una figlia, Carol Ann, una presunta erede Chaplin. Dopo le analisi del sangue, due processi scandalosi, l’accusa di Turpitudine Morale, Chaplin fu dichiarato padre di Carol Ann (in seguito, il tutto verrà riconosciuto come un errore giudiziario; il giudice si rifiutò di prendere come prova a carico l’analisi del sangue di Chaplin e Carol Ann, giacché differivano. NdA). La degradante vicenda fu affrontata dalla famiglia Chaplin in maniera unita e compatta (Oona e i due figli dell’attore, Charles jr. e Sydney).
Charlie e Oona, superata la tempesta, allargarono la famiglia. Nacquero Geraldine (1944) e Micheal (1946). Nel 1947, Charlie realizzò “Monsieur Verdoux”, ispirato alla storia reale di Henry Landru (il celebre Barbablù), idea suggeritagli da Orson Welles.
Negli USA si stava affrancando il Senatore Joseph McCarty ed il suo anticomunismo totale (il famoso periodo del Maccartismo, i processi ai coniugi Rosenberg e la loro condanna a morte) e “Monsieur Verdoux” fu accusato di filocomunismo.
Nel 1949 lo scontro tra McCarty e Chaplin divenne totale: alle accuse di comunismo –sia per Chaplin che per Il Vagabondo- l’attore rispose più volte in questo modo:
“Avere un tetto sulla testa, lavorare liberamente e formarsi una famiglia. Questo un Ideale democratico, non già comunista”
Dopo la nascita di Josephine (1949), terza figlia di Charlie e Oona, l’attore si mise al lavoro su un doppio progetto: un romanzo, “Footlights” (che non vedrà mai la luce in questa forma) ed un film basato sul libro, “Limelight” (in Italia conosciuto con il titolo di “Luci della Ribalta”).
Fu un film che segnò uno spartiacque nella vita di Chaplin. Fu l’ultima sua produzione realizzata in quel di Hollywood, la prima ed unica volta in cui recitò assieme a Buster Keaton (assieme a Chaplin, il Dio del cinema muto) e la prima volta in cui sua figlia Geraldine calcherà le scene (la sua carriera continua tutt’oggi).
La prima mondiale di “Limelight” fu fissata a Londra nel 1952. Chaplin e famiglia avevano previsto, dopo la prima, un periodo di vacanza. Mentre erano ancora in navigazione, il Ministro della Giustizia USA dispose che Chaplin, in quanto cittadino britannico, non avrebbe più avuto il permesso di rientrare nel paese a meno che non avesse dimostrato la sua idoneità secondo i canoni Maccartisti.
L’accusa che venne rivolta a Chaplin? L’attore si macchiò di "gravi motivi di sfregio della moralità pubblica e per le critiche trasparenti dai suoi film al sistema democratico del Paese che pure accogliendolo gli aveva dato celebrità e ricchezza". Insomma, gli americani Maccartisti fecero fuggire un figlio adottivo e la sua famiglia. Famiglia che stava per allargarsi ulteriormente: Victoria (1952) fu la prima figlia della coppia a nascere in Svizzera, dove i Chaplin si trasferirono.
Passeranno vent’anni prima che Charlie ricalchi il suolo americano e ci vorrà un gran bel motivo.
Nel 1957, dopo altri due figlioli (Eugene, nato nel 1953 e Jane, nata proprio in quell’anno), Chaplin realizzò “Un Re a New York”, pellicola nella quale esordì il figlio Micheal e che risulta un po’ sbiadito rispetto ai precedenti. Sarà la sua ultima apparizione come protagonista.
La Famiglia, nel frattempo, crebbe ulteriormente: nacquero altri due figli, tra il 1959 (Annette) ed il 1962 (Christopher, l’ultimogenito).
Due anni dopo, Charlie iniziò la stesura della sua autobiografia (Uscita in Italia con il titolo “La mia autobiografia”) dove non menziona il film “Il Circo” (probabilmente, per via del brutto periodo e delle vicende familiari del periodo).
Nel 1966, Charlie è nuovamente dietro la macchina da presa, a dirigere nientepopodimeno che Marlon Brando e Sophia Loren ne “La Contessa di Hong Kong”. Ultimo film, questo, e per di più l’unico a colori.
Terminata l’attività di regista, il Charlie compositore (ricordate gli anni a studiare violino?) produsse la versione sonora di alcuni tra i suoi capolavori: Il Circo (1969, nonostante la Damnazio Memoriae nell’Autobiografia), Il Monello (1971), La Donna di Parigi (1975).
Nel 1972, Hollywood e l’opinione pubblica chiamarono a gran voce Chaplin, chiedendogli di tornare negli States. L’Academy (l’organismo che gestisce gli Oscar) aveva deciso di premiare Charlie con il suo secondo Oscar alla carriera.
“Per aver fatto delle immagini in movimento una forma d'arte del Ventesimo secolo”
Questa fu la motivazione, letta da Jack Lemmon prima di consegnare l’Oscar nelle mani del tremante ed emozionato Charlie e prima della più lunga ovazione nella storia degli Oscar. Del resto, era Charlie Chaplin e molti degli attori e dei professionisti presenti in sala dovevano a lui l’amore per il grande schermo.
1973, Chaplin fa il Bis. Stessa location, il Chinese Theatre di Hollywood. Stesso riconoscimento: il Premio Oscar. Stavolta Charlie lo conquista sul campo, vicenda la statuetta per la “Migliore Colonna Sonora” legata al film “Limelight”
Due anni dopo, nel 1975, la Regina Elisabetta II accoglie il figlio dell’Inghilterra, Charles Chaplin, facendolo divenire Sir Charles Chaplin. (L’onorificenza sarebbe potuta arrivare quasi vent’anni prima, nel 1956. In quel caso, il Foreign Office britannico aveva posto il veto, per via del “presunto comunismo”.
Charlie, ormai ottantenne, venne a mancare nel sonno, alle 4 del mattino del Natale 1977, nella sua residenza di Corsier-sur-Vevey (Svizzera).
Nel 1992 venne realizzato un biopic “Charlot”, in cui il ruolo principale venne interpretato magistralmente da Robert Downey Jr (prima dell’epopea Marvel, Iron Man e tutto il resto)
Sono passati 130 anni dalla nascita di Charlie Chaplin, l’attore/regista/produttore/compositore/sceneggiatore/scrittore che riuscì a comunicare senza parole, colui che –quando decise di far parlare il proprio personaggio- riuscì ad esprimere una vita in un discorso.
Onore a Charlie, alla sua inventiva, creatività, estro, sensibilità, spirito d’osservazione.
Tanti Auguri, Charlie!
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