‘’Sumite materiam vestris qui scribitis aequam viribus’’.
Se volete scrivere scegliete un argomento pari alle vostre forze, consigliava il saggio poeta latino Orazio nella sua opera di valore intitolata ‘’Ars Poetica’’. Di Marco Pantani hanno parlato tanti, hanno scritto più o meno tutti cercando di rendergli onore e giustizia, chiunque ha cercato di dire la sua su una vicenda non facile e non ancora risolta. Il doping, il tunnel da cui non è riuscito a venir fuori, Madonna di Campiglio: tematiche legate allo scalatore romagnolo che sono state e, tuttora, sono ancora sulla bocca di tutti.
Ciò che sfugge ai più, però, è che Marco Pantani non è stato solamente queste vicende infelici dai risvolti tragici ma molto altro. Classe, talento, potenza sui pedali, simbiosi eccellente con la bicicletta nell’affrontare le salite e capacità di soffrire decisamente fuori dal comune. La scrittura, bene supremo reso possibile grazie alle parole, probabilmente non è totalmente in grado di descrivere e valorizzare un titano della montagne quale si è rivelato Marco Pantani, ma tentar non nuoce e, di conseguenza, c’è sempre la speranza di farlo nella maniera più dignitosa possibile. Pantani non è stato un campione ma qualcosa di più significativo: Pantani è stato un simbolo, è stato un ritorno all’età dei pionieri, è stato improvvisazione totale, è stato poesia sulle grandi asperità caratterizzate ad ogni tornante dai suoi versi scanditi con agili e terrificanti per i rivali colpi di pedale. Marco Pantani era la salita, era la capacità non di affrontarla ma di entrare dentro di essa, farla sua, accarezzarla e strattonarla nei momenti principali da suo appassionato amato quale è stato. Marco Pantani ha dato vita a momenti che rimarranno sempre impressi negli adepti delle due ruote.
Ha messo in crisi chiunque quando la strada cominciava a farsi tutto fuorché agevole: Da Miguel Indurain, al russo di ghiaccio Pavel Tonkov, al texano di ferro Lance Armstrong. Nessuno ha avuto vita facile con Marco Pantani sulle grandi montagne tanto care al ciclismo. Marco Pantani è stata una figura che nessuno potrà mai eguagliare e che nessuno potrà comprendere del tutto. Nel suo modo di correre si celava non solo la sana cattiveria agonistica ma anche una inquietudine e un tormento di fondo che lo rendevano totalmente differente dagli altri corridori e indecifrabile per chi lo circondava. Uno splendido secondo posto alla corsa rosa del 1994 con una storica doppietta nella Lienz-Merano e nella Merano-Aprica che hanno rappresentato l’exploit dello scalatore romagnolo, l’esordio al Tour de France e il piazzamento sul podio, gli incidenti, le riprese, la storica annata del 1998 con il bis da leggenda del Giro d’Italia e della Grande Boucle.
Era affettuosamente soprannominato ‘’il pirata’’ per il suo orecchino e la sua bandana e sulle grandi montagne era quasi impossibile seguirlo quando partiva all’arrembaggio. Il 13 gennaio avrebbe compiuto cinquant’anni, età che purtroppo non avrà l’occasione di festeggiare essendo scomparso prematuramente in un freddo giorno di febbraio nel 2004. Sarebbe troppo facile e consuetudinario fargli gli auguri, dire quanto è stato importante per il ciclismo e lo sport italiano, dirgli quanto era apprezzato. Si rischierebbe di cadere in quei classici luoghi comuni da cui è meglio stare il più distanti possibili. Mi piace però pensare che, ovunque si trovi in questo istante, Marco Pantani da buon pirata stia navigando in acque serene, in acque pulite, in acque calme che possano portarlo in una meta dove la serenità e l’affetto sono i punti cardini da cui nessuno può prescindere. Mi piace pensare che dopo la tempesta, finalmente, ci sia davvero quel poco di quiete necessaria per stare bene. Mi piace pensare che Marco Pantani , dopo tanto patire, abbia ripreso a sorridere. Sant’Agostino, il principale pensatore cristiano del primo millennio, diceva: ‘’L’amore è la bellezza dell’anima’’.
Marco Pantani di amore e bellezza è stato un valoroso portavoce, emozionando e coinvolgendo persino chi del ciclismo appena ne aveva sentito parlare. Per questa bellezza e per questo amore, seppur forse troppo tardi, non posso e non possiamo che ringraziarti Marco.
Ora e sempre.
Mattia Lasio
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