Emanuela Loi, giovane agente sarda della scorta di Paolo Borsellino, è stata la prima poliziotta ad aver sacrificato la vita in servizio, nello specifico in una strage di mafia.
Una donna esempio
Nasce a Sestu, Emanuela, il 9 ottobre del 1967, in una famiglia unita, minore di tre figli e dedita allo studio. Il suo temperamento fiero e tenace, sogna sin da piccola di insegnare e per riuscirci frequenta l'Istituto magistrale De Sanctis di Cagliari. Dopo aver ottenuto il diploma si districa nella ricerca di un posto pubblico e comincia la corsa ai concorsi di Stato, alle poste, alla scuola e alla polizia. In realtà fu sua sorella Claudia a convincerla ad entrare nelle forze dell'ordine.
Emanuela, supera la selezione con il massimo dei voti e comincia la Scuola Allievi di Trieste. Il suo animo colmo di un forte senso di giustizia, comprende che rassicurare i più deboli e battersi per loro è un progetto che vuole realizzare. Ecco perché quando ricevette la notizia di aver vinto una cattedra, scelse di restare e aiutare il prossimo.
Nel 1989 il giuramento e l'assegnazione della sede di Palermo. Nel 1992, a giugno, entra a far parte della scorta di Paolo Borsellino. Per il suo sacrificio per lo Stato le fu dedicata la medaglia d'oro al valore civile.
Una donna piena di speranza
Chi ha avuto la fortuna di conoscerla, la ricorda solare, leale e generosa. Emanuela Loi è brava, una tiratrice scelta, e finisce ben presto nel servizio di scorta.
Tra i vari incarichi, degni di importanza ci fu la sorveglianza di Villa Pajno, casa dell'allora parlamentare Sergio Mattarella, dopo che suo fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, fu ucciso dalla mafia. Fu poi inserita nella scorta personale della senatrice Pina Maisano e si occupò anche del piantonamento del boss Francesco Madonia, e ancora vigilò sul magistrato Guido Lo Forte e sul capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera.
Infine, in seguito alla strage di Capaci, alla giovane Emanuela Loi fu assegnato l'incarico di scorta di Paolo Borsellino.
Celebre e mai dimenticata la frase che il giudice le avrebbe detto la prima volta che la vide:
“E lei dovrebbe difendere me? Dovrei essere io a difendere lei”.
Nella strage di Via D’Amelio, il 19 luglio 1992, Emanuela perse la vita a soli 24 anni, alle 16.59 in una domenica estiva a causa di della detonazione di 90 kg di esplosivo contenuti in una Fiat 126 rubata e parcheggiata in via Mariano D’Amelio, a Palermo. L'Italia pianse, oltre al Giudice Borsellino e ad Emanuela, anche gli altri agenti della scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
Una donna altruista
Il suo senso del dovere le impose di dedicare tutta se stessa all'impegno verso i suoi incarichi, spesso pericolosi. Scelse di tenere distante dalla preoccupazione la sua famiglia. Ai suoi familiari ripeteva di essere serena e di non scortare persone che sarebbero state prese di mira dalla mafia.
Questo spiccato altruismo la condusse a quella fatidica giornata. Mentre si trovava in Sardegna in vacanza, infatti, si era ammalata e avrebbe dovuto aspettare qualche giorno prima di ritornare in servizio in Sicilia: si rifiutò di essere sostituita, togliendo le ferie a qualche suo collega.
Emanuela era una persona perbene, che inseguiva il giusto. Non le hanno permesso di essere felice e neppure di tornare a lavorare a Cagliari ma il suo operato non sarà mai considerato inutile.
La figura di Emanuela Loi non sbiadisce nelle pagine della storia perché la sua memoria è viva nel costante racconto di un'Italia che è stata per diversi decenni di una violenza inaudita a cui si è affiancata la semplicità di una giovane donna professionista che scelse di proteggere il valore di una società libera dalla criminalità organizzata, pagando a caro prezzo.
Emanuela Loi resta il simbolo della lotta all'odio.

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